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OLTRE IL CONCETTO STESSO DI CORNICE

Caon: come liberare l’arte (e renderla visibile)

Severino Caon: ovvero un modo diverso di fare cornici. L’argomento mi ha sempre interessato, proprio perché connesso con la psicologia della visione. Più volte mi son chiesto: è possibile vedere un opera d’arte al di fuori dell’ambiente che la circonda? La cornice, come d’altronde lo spazio tutto attorno, ha interferenze che risultano ben più forti di quanto si creda. Ecco ora un ottimo artigiano mestrino che mi parla dei quadri in un modo diverso dal consueto. “Queste creature - mi dice sorridendo - devono essere difese”. Difese come? non con il solito armamentario delle cornici, magari sagomate e intagliate, spesso dorate o argentate; e men che meno col colletto forzato dei passe-partout dal consueto color neutro (la tela mediovale). Occorre qualcosa di diverso: qualcosa che liberi l’opera d’arte dai condizionamenti, dagli impacci; e la faccia vivere come entità a sè. Caon ha le idee chiare. La sua parola d’ordine è: eliminare tutto quello che sta attorno all’opera d’arte. La cornice ideale (ma il termine è inadeguato) è il buio di fondo: cioé il nero. Il quadro deve librarsi nella sua purezza, senza subire intrusioni che ne distubino (o addirittura distorcano) la visione. Nel suo laboratorio di via Baracca, così lindo e netto, Caon appoggia i dipinti su un fondo di nero opaco. Li appoggia quasi senza che tocchino nulla: fino a farli galleggiare nello spazio “neutro” del buio-notte. L’effetto? Affascinante. Non si tratta di una novità, si badi bene: Kandiski preferiva che i suoi quadri astratti inerissero su nero: e Gino Rossi dipingeva egli stesso le larghe cornici di nero-fumo. Ma ora la tecnica è ben più affinata: e l’intera operazione diventad’una discrezione rara. Non solo: ma Caon cura in modo esemplare l’inserimento dell’opera in uno spazio geometrico quasi come un’aurea misura, cioé senza cedere alla monotonia dei consueti rapporti regolari. È la regola dell’impaginazione nuova: quindi della leggibilità ottimale. Naturalmente le stampe vanno inserite, secondo Caon, nel modo opposto e parallelo: cioé nel bianco assoluto, anch’esse senza orpelli, senza pase-partout, senza intrusioni che non siano di ordine strettamente strutturale. Ordine quindi: ordine come misura dell’arte. Il tutto (ho potuto constatarlo direttamente) attraverso una tecnica di esecuzione che sfiora la maniacale perfezione. Niente ha a che fare con le solite cornici di serie; e nemmeno con le presuntuose “adattazioni” di certi artigiani che si dicono artisti. La semplicità è la regola; il rispetto dell’opera d’arte il fine. Ecco perché anche un corniciaio può pretendere di dire la sua parola - alla fine non secondaria - nel processo di messa in luce dell’opera d’arte. Ho visto, nel laboratorio di Caon, valorizzare l’arte. E non posso che inserire questo splendido artigiano, con la sua ventennale esperienza, in una grande tradizione che anche e soprattutto veneta: dal gusto squisito dei grandi intagliatori del Sei e Settecento, come il Morlaiter, ad un adattamento ai parametri nuovi di una filosofia del vedere. E’ - lo dico semplicemente - un modo per liberare l’opera d’arte dai troppi impacci, visivi e psicologici, cui ancora soggiace. Febbraio 1990 Paolo Rizzi

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